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        CD REVIEW 
        In The Country: This Was The Pace Of My Heartbeat 
        By VALENTINA CASSANO 
      7.0/10 
         
         
          
        Che la Norvegia fosse una ribollente - nonostante le temperature glaciali 
        - fucina di ottimi e variegati artisti lo sapevamo già (pensiamo 
        alla recente fioritura di Hanne Hukkelberg, ai sempreverdi Kim Hiorthøy 
        e Nils Petter Molvaer,oppure ai ragazzi della porta accanto Kings Of Covenience). 
        Così come conosciamo la validità della Rune Grammofon nel 
        promuovere realtà musicali innovative e ricercate (Supersilent 
        e Susanna And The Magical Orchestra, solo per dirne un paio). Quando poi 
        ci si trova davanti ad una nuova proposta che unisce i sopraccitati elementi, 
        allora le aspettative si alzano vertiginosamente. 
        Stiamo parlando di This Was The Pace Of My Heartbeat , album d’esordio 
        del trio pianistico In The Country. Tre giovani ed affaccendati musicisti 
        - Morten Qvenild al piano (già nei Jaga Jazzist, ora membro degli 
        Shining e dei National Bank, nonché vera e intera orchestra di 
        Susanna), Roger Arntzen al basso (presente anche nei progetti Dump e Subtonic) 
        e Pål Hausken alla batteria (quarto componente del Tub Quartet e 
        parte fondamentale della country band Christer Knutsen And Sacred Heart 
        ) - che usano lo spazio come approccio al jazz. Se in un primo momento 
        le composizioni possono ricordare la lezione modale di Keith Jarrett o 
        del più grande maestro Bill Evans (l’intima apertura di Where 
        We Can Go oppure la languida Tree Canopy Walkway ) per la forte personalità 
        nell’interpretazione, quasi fosse un commento sonoro ad immagini 
        in movimento, in realtà sono ben altre le influenze, come afferma 
        lo stesso Qvenild: Ornette Coleman, Kenny Wheeler, Messiaen e Feldman. 
        Sono queste le maggiori fonti d’ispirazione per un suono dall’astratta 
        ritmica (il nucleo centrale di Beaver Creek sembra smarrirsi per ritrovare 
        sul finale la linea melodica da cui nasce), dove il tempo dell’improvvisazione 
        serve a portare aria o, se si vuole, maggiore concretezza. Un modo di 
        sentire e vedere la musica che non si limita al jazz, ma che si nutre 
        anche del rock americano (la stupefacente nudità della In My Time 
        Of Need di Ryan Adams) e della classicità (la rilettura con una 
        casio sk-10 della handeliana Laschia Ch’io Pianga). 
        Un trio dalla marcata versatilità e dalle sorprendenti doti tecniche, 
        che solo il nord Europa - terra di autentici talenti - poteva portare 
        alla luce. A questo punto si spera di ascoltarli presto dal vivo in uno 
        dei numerosi festival jazz che affollano la penisola italica. 
         
         
        Published : 27.07.2005   | 
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